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LA CORTE DI GIUSTIZIA UE CONDANNA...

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15-12-2012 / 3 minuti, 21 secondi

LA CORTE DI GIUSTIZIA UE CONDANNA L'ITALIA PER IL RITARDO NEI PAGAMENTI PA



La Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE) ha rilevato la violazione da parte dello Stato Italiano dei termini di pagamento stabiliti all’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della Direttiva 2011/7/UE adottata il 16 febbraio 2011 dal Parlamento europeo e dal Consiglio, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
Segnatamente, ai sensi dell’articolo 4 (rubricato “Transazioni fra imprese e pubbliche amministrazioni”), paragrafo 3, lettera a) di tale Direttiva, gli Stati membri sono tenuti ad assicurare che, nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione, il periodo di pagamento non superi i 30 giorni di calendario a decorrere dalle circostanze di fatto ivi elencate. Quanto all’articolo 4, paragrafo 4, della suddetta direttiva, esso accorda agli Stati membri la possibilità di prorogare tale termine fino ad un massimo di 60 giorni di calendario per le amministrazioni e gli enti pubblici ivi contemplati.
Possibilità, questa, che viene consentita esclusivamente in due casi:
a) amministrazione pubblica che svolga attività economiche di natura industriale o commerciale offrendo merci o servizi sul mercato e che sia soggetta, come impresa pubblica, ai requisiti di trasparenza di cui alla direttiva 2006/111/CE della Commissione, del 16 novembre 2006, relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche e alla trasparenza finanziaria all’interno di talune imprese ;
b) enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria e che siano stati debitamente riconosciuti a tal fine.

La Corte  ha affermato che l’art. 4, paragrafi 3 e 4 della direttiva 2011/7 debba essere interpretato nel senso che impone agli Stati membri di assicurare il rispetto effettivo, da parte delle p.a. nazionali, dei termini di pagamento da esso previsti.
In particolare, a differenza di quanto sostenuto dall’Italia, è stato rilevato che l’obbligo per le p.a. di versare gli interessi moratori in conseguenza dello spirare del termine per i pagamenti (previsto al paragrafo 1 del medesimo art. 4) si pone come complementare e non come alternativo rispetto all’obbligo di rispettare i termini di 30 o 60 giorni per l’adempimento delle obbligazioni.
Inoltre, mentre l’art. 3 (relativo alle “Transazioni fra imprese”) al paragrafo 3 si limita a prevedere il diritto del creditore a interessi in caso di superamento dei suddetti termini, l’art. 4, paragrafo 3, proprio in virtù della considerazione che le p.a. godono di flussi di entrate più certi, prevedibili e continui rispetto alle imprese private, enuncia un obbligo preciso di rispettare i termini ivi indicati.
Infatti, il venire meno a tale dovere, ha osservato la Corte, può determinare costi ingiustificati per le stesse imprese, aggravandone i problemi di liquidità e rendendone ingiustamente più complessa la gestione finanziaria.

In secondo luogo, la CGUE ha statuito che la violazione dei termini individuati dai paragrafi 3 e 4 da parte delle amministrazioni nazionali costituisce inadempimento agli obblighi comunitari, senza che rilevi la natura autoritativa o paritetica del rapporto intercorrente con l’impresa creditrice.
Sul punto, ha osservato la Corte che l’argomento della difesa italiana, secondo cui le pubbliche amministrazioni non possono far sorgere la responsabilità dello Stato membro cui appartengono quando agiscono nell’ambito di una transazione commerciale, al di fuori delle loro prerogative dei pubblici poteri, finirebbe, se accolto, con il privare di effetto utile la direttiva 2011/7 (ed in particolare il suo articolo 4, paragrafi 3 e 4, che fa gravare proprio sugli Stati membri l’obbligo di assicurare l’effettivo rispetto dei termini di pagamento da esso previsti nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione).

Infine, dopo aver rilevato, dall’analisi dei dati forniti sia dalla Commissione che dallo Stato italiano, che il tempo medio entro cui le p.a. nazionali complessivamente hanno effettuato i pagamenti a titoli di corrispettivo delle loro transazioni commerciali supera i termini previsti dai paragrafi 3 e 4 del citato art. 4 (30 o 60 giorni), la CGUE ha ribadito che, da giurisprudenza costante, il ricorso avverso l’inadempimento agli obblighi di matrice comunitaria ha carattere oggettivo e prescinde dalla portata o dalla frequenza delle situazioni censurate. 

Pertanto, avendo accertato che l’Italia è venuta meno agli obblighi su essa incombenti in forza della direttiva 2011/7, l’ha condannata ad uniformarsi ai suddetti obblighi, nonché a rifondere le spese di giudizio.

ALLEGATI SCARICABILI

CGUE SENT. 28.1.2020